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lunedì 29 ottobre 2012

La "bella" voce 2



Una voce unica


I grandi cantanti infatti sono quelli che non sono accostabili a nessuno tranne che a se stessi.
Alla luce di questa osservazione devo constatare che il principio di imitazione così importante inizialmente (in quanto ci permette di avere una o più figure di successo che ci accompagnano e ci stimolano nello studio) resti troppo spesso radicato anche quando un cantante dovrebbe avere il coraggio di tagliare il cordone ombelicale e ricercare una propria strada. Questo processo può essere spiazzante e rappresentare una svolta “pericolosa” nel proprio percorso perché ci si sente soli con la propria voce ed esposti al mondo, ma come si può crescere se non si accetta il rischio di proseguire la propria vita non più accompagnati dai genitori? Allo stesso modo dobbiamo prendere il coraggio di distanziarci dai nostri modelli che, se prima ci hanno iniziato alle basi del canto, a lungo andare ci ingabbieranno in stereotipi che non ci appartengono. In una nazione dove la maggior parte dei gruppi pop-rock sono delle cover o tribute band questa è la logica e dannosa conseguenza.
Tutti possono cantare?
Certamente si! Bisogna però chiedersi per quale motivo cantiamo e quali sono le nostre aspirazioni.
Chi crede in Dio come me pensa che ognuno di noi ha ricevuto dei doni particolari che nessun altro possiede e dovrebbe impegnarsi affinché questi diventino le nostre principali attività nella vita, però nulla vieta di amare la musica e cantare anche con un discreto successo, gli effetti positivi del canto sono molteplici sia a livello mentale che fisico quindi perché no.
Altro discorso invece è per chi vuole intraprendere un percorso professionale, la prima cosa da fare è cercare una figura in grado di aiutarci a sviluppare le nostre caratteristiche, di colmare le nostre lacune (in seguito darò dei consigli su come scegliere il proprio insegnante) e di darci con franchezza il quadro della situazione su noi stessi.


continua...





venerdì 26 ottobre 2012

La "bella" voce


Quando una voce si dice “bella”?


Quante volte abbiamo sentito espressioni del tipo:”Per cantare bisogna avere una bella voce” oppure “Se non si nasce con una bella voce non serve a nulla studiare” o peggio ancora “Non puoi cantare perché non hai la voce”? Tutte frasi che definire scoraggianti soprattutto per chi si affaccia al mondo del canto è dir poco.
Quest'ultima deprimente esclamazione ci può però aiutare a ragionare, dire che per cantare bisogna avere “la” voce è una semplificazione estremamente errata perché presuppone che esista un solo tipo di vocalità che se posseduta può spalancare le porte del successo.
La realtà è ben diversa, come ho già sottolineato nella prefazione, ognuno di noi è diverso (per origini, per bagaglio di esperienza, per sensibilità, per costituzione e certamente anche geneticamente) e quindi con una voce diversa (per tessitura, per colorazione, per facilità d'uso e per motivi anatomici). Dando per acquisito il fatto che non è mai esistita nella storia dell'umanità una voce uguale ad un'altra (e che invece i cantanti di successo sono stati molti) chiediamoci allora che cosa fa di una voce una “bella voce”.
Prima di tutto suggerisco di inquadrare il proprio periodo culturale guardando anche al passato e, ovviamente, anche al territorio che ci interessa. Per quel che riguarda l'Italia si è sempre intesa come “bella voce” una voce rotonda, chiara, aperta, ben proiettata, forte e possibilmente dalle tessiture acute, tutte caratteristiche tipiche della tradizione lirica italiana.
Continuando il nostro ragionamento non possiamo quindi prescindere da questo humus culturale che riecheggia ormai nel nostro DNA musicale da generazioni, però non possiamo neanche convincerci che la questione si esaurisca qui infatti, con l'avvento del canto microfonato prima e della globalizzazione poi (che ci permette di ascoltare la musica tipica della Nuova Zelanda con un rapido click), molteplici sono le influenze e i mutamenti che ha subito l'ideale di “bella voce”.
Innanzitutto questo è significato un arricchimento non indifferente e un ampliamento delle caratteristiche vocali accettate in campo artistico dagli ascoltatori, ecco quindi che non vanno più di moda solo le voci forti e impostate (un tempo necessarie per rendere udibile il proprio canto senza l'ausilio del microfono) ma anche quelle piccole e sussurrate, non più le sole le voci acute ed aperte, tipiche del bel canto (altro termine infelice), ma anche quelle gravi e chiuse.
Oggi ogni voce ha un potenziale artistico in relazione a quanto si riesca a renderla veicolo di messaggi e di emozioni.
Certamente un cantante che si avvicinerà di più alle caratteristiche descritte, cioè il suddetto substrato italiano, avrà la possibilità di essere riconosciuto più facilmente come un buon cantante a livello popolare anche da chi non ascolta quasi mai musica dato che le sue caratteristiche sono già state ascoltate ed elogiate in passato rappresentando per l'ascoltatore un fattore di stabilità e rassicurazione ma per tutti gli altri le strade non sono chiuse anzi, l'allontanamento da un determinato modello già ascoltato ed “assorbito” dalla gente può essere l'occasione per essere una ventata d'aria fresca.

continua...





martedì 23 ottobre 2012

Tutto è interpretazione 7: esercitazione


Esercitazione di interpretazione


Ciao a tutti ecco l'ultimo spunto che mi sento di darvi per ora su questo argomento, ovvero una piccola esercitazione che consiste nell'osservazione di 2 differenti interpretazioni e, in base agli elementi che vi ho dato nel corso di questi post (potete trovarli tutti nel mio blog http://michelebrugiolo.blogspot.it/), individuare le differenze e costruire una vera e propria critica oggettiva alle interpretazioni di questi 2 artisti che ora vi vado a sottoporre.
Il brano che ho scelto è "Au suivant" interpretato inizialmente da Jacques Brel e poi da Wende Snijders.
Non vi vado a dire altro per evitare di influenzare le vostre riflessioni, vi ripeto ancora una volta che non esiste un pensiero giusto o uno sbagliato a riguardo quindi se non ricordate le mie direttive andate a dare una rapida occhiata ai post precedenti e usateli come metro di misura.
Ecco i video:




E qui la traduzione del testo:

AVANTI UN ALTRO
Nudo nella salvietta che usavo da bermuda,
Ero di fuoco in faccia, col mio sapone in mano.
Avanti un altro, avanti un altro.
Perché avevo vent'anni e si era in centoventi
Ad essere il seguente di quello che seguivi.
Avanti un altro, avanti un altro.
Perché avevo vent'anni e mi stavo scafando
Al casino ambulante di un'armata in campagna.
Avanti un altro, avanti un altro.

Io avrei preferito un po' più di tenerezza
Oppure un sorriso o almeno averne il tempo.
Ma avanti un altro, avanti un altro.
Non fu una Caporetto ma neppure Vittorio Veneto,
Fu l'ora in cui rimpiangi di essere poco pratico.
Avanti un altro, avanti un altro.
A sentire quel caporale lacchè dei miei pendenti,
Son colpi da crearvi armate di impotenti.
Avanti un altro, avanti un altro. 

Lo giuro sulla testa di quel mio primo scolo:
Da allora quella voce la sento ancora in me.
Avanti un altro, avanti un altro.
Quel respiro pesante e quell'alito forte
E' un fiato di violenza, un alito di morte.
Avanti un altro, avanti un altro.
E da allora ogni donna nell'atto di accettare
Le mie mani insicure mi sembra mormorare:
Avanti un altro, avanti un altro.

Tutti gli altri del mondo si dessero la mano,
Ecco che cosa grido la notte nel delirio.
Avanti un altro, avanti un altro.
E quando non deliro trovo che è più umiliante
Avere un proprio seguito che essere un seguente. 
Avanti un altro, avanti un altro.
Un giorno mi farò eremita o santone indù, 
Qualcosa, ma vi giuro che non sarò mai più
Quell'altro, quell'altro.

Buona osservazione :-)

mercoledì 10 ottobre 2012

Tutto è interpretazione 6: conclusione?


Conclusione?


Come ho voluto sottolineare nel titolo con il punto di domanda non si può parlare di vera e propria conclusione in questo ambito, risulta difficile se non impossibile tirare delle somme su di un argomento così vasto e così soggettivo come l'interpretazione, il mio tentativo è stato quello di delineare delle griglie a maglie allargate in modo che all'interno di esse tutti possano prendere ciò di cui necessitano per rendere la propria interpretazione più viva, varia e convincente.
Una conclusione perentoria però mi sento di volerla dare e riflette il titolo che questi articoli hanno in comune fin dall'inizio e cioè: Tutto è interpretazione, non scordiamocelo mai! Neppure nelle serate in cui abbiamo mille pensieri per la testa. Dobbiamo trovare il tempo e il modo di concentrarci su quello che canteremo e del modo in cui staremo sul palco. 
Il tempo di concentrarsi infatti va trovato prima dello spettacolo e non durante, fare pause troppo lunghe tra un brano e l'altro è sinonimo di poca professionalità soprattutto se ne approfittiamo per parlare con i musicisti daremo l'impressione di essere spaesati. Chi si fermerebbe ad ascoltare ciò che ha da dire una persona evidentemente non a suo agio?

Concludo tornando all'inizio di questa serie di articoli: spesso si distinguono i cantanti più portati all'interpretazione da quelli più ferrati nelle doti tecniche, ancora una volta dovremmo riflettere sui vantaggi e svantaggi di ciascuna categoria per renderci conto che la situazione ideale sta nel mezzo.
Il lavoro tecnico-vocale va portato avanti di pari passo con quello interpretativo perché l'interpretazione senza tecnica pecca di scarsa chiarezza e la tecnica senza interpretazione manca di calore umano: la tecnica ci permette di far capire ciò che sto dicendo mentre il calore umano lo rende vero e accessibile a tutti (siamo tutti esseri umani ma non tutti padroneggiamo la tecnica canora), entrambe le cose sono prerogative fondamentali per la buona comunicazione nella vita come nel canto.

Prossimamente "esercitazioni di analisi interpretativa..."


lunedì 8 ottobre 2012

Tutto è interpretazione 5: il corpo



Interpretare il corpo


Veniamo dunque all'aspetto più personale di tutti, l'atteggiamento del corpo sul palco.
Come un professionista nell'emettere una voce piccola in realtà non canta con poca voce ma va ad agire sui parametri che permetto al suo canto di essere minuto ma pur sempre presente, così anche il corpo sul palco non deve mai scomparire.
Teniamo presente che tutto quello che noi facciamo sul palco vive in una dimensione che non è quella reale, ma quella teatrale. Dobbiamo rendere visibili i nostri gesti, espressioni, movimenti a tutto il pubblico e non solo alle prime file quindi bisogna esagerare!
Questo non significa diventare dei polipi sbracciati ma che i gesti che decidiamo di fare vanno fatti con sicurezza e in modo ampio, visibile.
Tutto ciò che il pubblico non percepisce come intenzionale viene automaticamente percepito come indecisione, fuori luogo e quindi brutto.
Camminiamo con calma in modo che anche i più distratti capiscano che stiamo facendo dei passi in avanti, appoggiamo sempre il peso con sicurezza scaricandolo al suolo prima di fare altri movimenti, esageriamo gli sguardi che sono un grande mezzo di trasmissione ma che per loro conformazione sono piccoli e sfuggevoli, non intimoriamoci nel fissare qualcuno che ci sta fissando perché sarà come dedicargli il brano che stiamo cantando.
Ricordiamoci sempre che dobbiamo essere coerenti con il nostro sottotesto e quindi scegliere atteggiamenti in continuità con esso, il solo fatto di scegliere di cantare un brano in piedi o da seduto cambia completamente l'intenzione del brano.
Altri criteri di scelta possono essere: tenere in mano il microfono o usare l'asta, stare ben eretti difronte al pubblico o più rannicchiati, cantare di profilo,a tre quarti o in taglio, interagire con i musicisti, col pubblico o estraniarsi come se si cantasse per se stessi ecc ecc...
L'importante è rimanere sempre dentro il brano perché sul palco anche quando non si canta... si sta cantando, evitiamo di deconcentrarci nelle parti strumentali dei brani, manteniamo lo sguardo presente e diretto sul pubblico per non interrompere la comunicazione.
Un buon esercizio è quello di crearsi un'immagine di se da sotto il palco, in base ai nostri gesti e movimenti immaginiamoci visti dal di fuori in modo da controllare se quello che stiamo facendo è veramente utile e convincente oppure no. Come l'orecchio è l'organo di controllo esterno della voce, così l'immaginazione deve diventarlo per la postura.





venerdì 5 ottobre 2012

Tutto è interpretazione 4: il respiro


Interpretare il respiro



Fin dalle prime lezioni di canto ci insegnano qual'è la respirazione più adatta per accompagnare la fonazione rendendola comoda e stabile, ma, quello che voglio sottolineare, è che ad ogni tipo di respirazione corrispondono dei cambiamenti sul tipo di emissione e di sensazione che si trasmette.
  • Respirazione alta o clavicolare: Voce più esile,insicura, timida, ansiosa, rigida, favorisce la costrizione delle corde false e quindi le sporcature.
  • Respirazione toracica o intercostale: Voce stabile ma con poca autonomia d'aria, poca presenza, vicina al parlato, favorisce la percezione della consonanza vibratoria pettorale agevolando la presenza dei bassi.
  • Respirazione bassa o diaframmatica: Voce stabile e ben presente, tendente però infossamento e con scarsa agilità, più calda e rotonda.
  • Respirazione mista o costo-diaframmatica: Voce stabile, presente, equilibrata, ben udibile e per questo anche la più standard.

Altra possibilità che la respirazione ci da è quella di rendere il fiato udibile oppure no, sia in fase di inspirazione che di espirazione con risultati interpretativi molto diversi.
Sapersi orchestrare, cambiando a seconda dell'intenzione che vogliamo dare il tipo di respirazione, è un arma in più per rendere ancora più convincente e “vissuta al momento” l'interpretazione del brano. E' bene usare le respirazioni in modo intelligente guardando al risultato finale in base anche alle tessiture delle note da cantare.



mercoledì 3 ottobre 2012

Tutto è interpretazione 3: la voce


Interpretare la voce



In realtà lo facciamo quotidianamente senza rendercene conto, in base a ciò che diciamo e a chi lo diciamo cambiamo tono e range vocale: se vogliamo essere dolci usiamo un timbro soffiato, caldo e una tessitura bassa, se vogliamo essere aggressivi aumentiamo il volume e tendiamo a nasalizzare, se vogliamo essere sarcastici alziamo l'intonazione e chiudiamo la voce rendendola stridula.
Nel cantare un brano ovviamente non possiamo cambiare l'intonazione delle note ma possiamo giocare sul tipo di emissione.
Teniamo presente che ormai esistono delle relazioni voce-emozione standardizzate che si richiamano vicendevolmente con molta forza, basta semplicemente guardare un film con dei bravi doppiatori per rendersene conto ma, nulla vieta, di decidere di fare l'esatto opposto per dare un effetto spiazzante al brano come sempre accade è una questione di scelte.
Ecco qualche esempio di come possiamo modificare il nostro suono:
  • Più o meno chiaro (alzando ed abbassando la laringe)
  • Più o meno schiacciato (comprimendo e rilassando il colletto della laringe:twang)
  • Più o meno arioso (avvicinano o allontanando le corde vocali nel loro ciclo vibratorio)
  • Più o meno tremolante (controllando il flusso del fiato)
  • Più o meno presente (controllando lo spessore cordale)
  • Più o meno graffiato (controllando la costrizione delle false corde) ecc ecc...

    Prossimamente vedremo "interpretare il respiro"...